Lavorare con gioia

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Vi ripropongo quest’oggi un articolo che scrissi nel 1993, che mi sembra ancora attuale.

 

già pubblicato su IL MATTINO, Futuro presente. Venerdì 9 aprile 1993

Con i tempi che corrono, se vogliamo fare un buon augurio a un giovane, dobbiamo augurargli di trovare un buon lavoro: un bene prezioso che oggi è diventato raro, benché la nostra Costituzione lo consideri il primo dei diritti di cui nessuno dei cittadini dovrebbe essere privato. Se poi vogliamo augurare un bene ancor più grande e raro, dovremo augurargli di avere la fortuna di trovare un lavoro che sia anche piacevole e confacente ai suoi gusti.

Il lavoro ci accompagna ogni giorno della nostra vita; e solo se lo faremo con gioia, la nostra vita potrà essere piacevole. Ma vi è di più: chi lavora con gioia, avrà aperta davanti a sé – di regola – una carriera densa di riconoscimenti e successi.

Rita Levi Montalcini, che si è sempre considerata (ma non è mai stata!) persona del tutto normale, ebbe una volta a dirmi: “Il segreto del mio successo, esagerato rispetto ai miei meriti, sta nell’aver sempre scelto di fare, nella vita, ciò che più mi piaceva: anche se per ottenere questo si è trattato di scegliere, di volta in volta, di percorrere la strada più difficile e incerta”.

Frase che nega una apparente ovvietà, che in realtà non è né ovvia né vera: che cioè scegliere l’attività che più ci piace rappresenti di per sé anche scegliere la via più facile. Dedicarci alle attività, ai mestieri e agli studi più vicini ai nostri gusti, può invero voler dire scegliere un lavoro che ci porta talvolta lontano dalle nostre radici e dagli affetti; un lavoro che talvolta è collocato a un livello basso nella considerazione sociale; un lavoro che talvolta è scarsamente remunerativo sul terreno economico. Ma vale la pena affrontare questi rischi e questi sacrifici.

“E bravo!” commenteranno quanti, fra i lettori, sono genitori con figli in età di studio e di lavoro. “Non bastano le difficoltà oggettive che si devono affrontare pe trovare un posto, anche quando si faccia una scelta guidata dalle opportunità offerte dal mercato del lavoro, e tu consigli anche di percorrere la strada più difficile!”

Mi giustificherò con due argomenti.

L’opportunità di lavorare con gioia l’ho chiamata, più sopra, una fortuna; ma in realtà non si tratta di un dono regalato dalla dea bendata, né è sempre frutto di una scelta “a priori”. Si tratta invece, quasi sempre, di una questione di cultura, capace di rendere piacevole e gioioso qualunque lavoro ci tocchi in sorte.

La scelta di fare bene il proprio lavoro, anziché poltrire, è un fatto di cultura; l’educazione al lavoro come momento di positiva realizzazione delle proprie potenzialità intellettuali e fisiche, è un fatto di cultura; la scelta di positivamente contribuire, con il proprio apporto, alla crescita collettiva e divenire quindi consapevoli dell’interdipendenza che ci lega agli altri e della nostra utilità sociale, è un fatto di cultura.

Ma vi è un altro argomento, più pratico e più solido. Nel grande fenomeni in atto di ristrutturazione del mondo industrializzato – ristrutturazione trainata dalla innovazione ed automazione crescente dei processi produttivi, dei servizi, del mercato – l’offerta di lavoro generata dall’alto (dalla grande impresa industriale e commerciale; dai grandi sistemi di servizi; dall’amministrazione pubblica ecc.) andrà sempre più concentrandosi nelle regioni e nei paesi strutturalmente ed economicamente più forti.

Il nostro Paese – e le nostre regioni all’interno dello stesso nostro Paese – ne risulteranno penalizzati in misura crescente. Se da un lato è importante costruire una risposta politica ed economica forte a queste linee di tendenza, d’altro lato – con l’aria che tira, a livello politico, in Europa e in Italia – è opportuno non basare la propria sopravvivenza unicamente sul successo di questa linea politica alternativa. È opportuno cercare di costruirsi, anche, una risposta dal basso: costruire un’offerta di lavoro che emani dalle opportunità più legate alle risorse, alla cultura, alle tradizioni locali. Ciò chiama le giovani generazioni a un grande sforzo di progettualità sul terreno della autoimprenditorialità: e per far bene l’imprenditore di se stesso, è necessario, anche se non sufficiente, amare molto il lavoro che si è scelto di fare.

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