
Ho partecipato anch’io, come già ho avuto modo di dirvi, alla presentazione del libro – meglio sarebbe dire del romanzo scientifico – “La nascita imperfetta delle cose” del mio amico Guido Tonelli. Un’occasione – me ne capitano spesso, per fortuna – per riflettere e per confrontarmi anche con altri cari e stimolanti amici – parlo di Bruno Bartoli, Gaetano Manfredi e Giovanni La Rana – anche loro invitati a presentare il racconto di Guido.
Un racconto a dir poco avvincente su uno dei più grandi progetti di ricerca di questi ultimi anni, che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs, un evento che ha già segnato l’inizio – insieme alla rivelazione delle onde gravitazionali – di una nuova fisica capace di mettere in connessione – in un futuro si spera non lontano – i fenomeni che si incontrano nel mondo dell’infinitamente piccolo con i misteri dell’infinitamente grande dell’Universo Cosmico.
E, come il romanzo, anche la stessa presentazione ha preso colori vivaci, nel discutere delle dimensioni dell’apparato sperimentale, della sofisticazione tecnica/tecnologica, dei costi certamente elevati, delle emozioni che simili scoperte generano.
Molta strada è stata fatta dai tempi di AdA, l’Anello capostipite di tutti gli anelli di accumulazione, realizzato a Frascati per dimostrare la fattibilità di questi acceleratori di nuova generazione proposti per primo da Bruno Touschek. Allora, erano gli inizi degli anni ’60, accettai anch’io di essere coinvolto nel progetto e così ebbi la fortuna di partecipare a quella bellissima avventura. La presenza dei positroni nell’anello veniva monitorata rivelando per via strumentale la luce di sincrotrone che ogni singolo positrone emetteva. Ricordo ancora come, nelle notti particolarmente buie, osservando ad occhio nudo, invece che con gli strumenti, era possibile, con la dovuta pazienza, vedere un tenue puntolino luminoso: cosicché sono oggi uno dei pochi al mondo a potersi vantare di aver visto un positrone a occhio nudo!
Ma sembra che il modernissimo acceleratore che ci ha da poco mostrato “la particella di Dio” sia già quasi obsoleto, già si guarda oltre, alla prossima generazione di macchine acceleratrici. Centinaia di fisici ed ingegneri – diventeranno presto migliaia – sono già all’opera per una nuova sfida – si chiama FCC-Future Circular Collider – una macchina ad altissima intensità per elettroni e positroni installata in un tunnel lungo 100km! Una impresa il cui costo è previsto essere dell’ordine delle diverse decine di miliardi di Euro.
Viene a questo punto naturale interrogarsi, se sfide siffatte – per impegno di risorse umane, economiche, tecnologiche – non debbano essere rivolte anche ad obiettivi diversi, con priorità temporali diverse; o se questo stesso tipo di ricerche e le scoperte che ne scaturiscono non possano – non solo per le ricadute dirette per l’umanità tutta, che certamente avverranno seppure in tempi lunghi, ma anche in riferimento al rapporto stesso dell’uomo con la realtà –
contribuire a ripensare i modelli di sviluppo possibili. In altre parole aiutare a rivedere il rapporto dell’uomo con le altre componenti del sistema di cui fa parte a beneficio dell’intera umanità.
Personalmente, quando la mia carriera scientifica fu posta di fronte alla alternativa se trovare soddisfazione alle mie ambizioni attraverso l’assunzione di responsabilità in programmi di “big science” (quali il Magnete Esperienze Adone a Frascati, e/o il cosiddetto SPEAR-Stanford Positron Electron Accelerating Ring a Stanford), scelsi di trasferirmi a Napoli per avviare attività relative all’uso dell’energia solare; e accontentarmi di trovare soddisfazione di carattere meramente conoscitivo cercando di osservare ad occhio un positrone alla volta. Una scelta che ancora ora rifarei.
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