
già pubblicato su IL MATTINO, Futuro presente. Venerdì 15 ottobre 1993
Mi è già capitato di discutere, in questa rubrica, di come una delle molle – la principale – che muove i fenomeni di natura, sia l’inarrestabile tendenza verso il crescente disordine, essendo quest’ultimo incommensurabilmente più probabile dell’ordine. Ordinare significa raggruppare in gruppi omogenei. Se si stratta, ad esempio, di pietruzze colorate, ordinarle significa mettere insieme quelle dello stesso colore, quelle della stessa grandezza, quella della stessa materia; oppure organizzarle secondo uno schema più complesso e sofisticato, nelle figure di una mosaico.
L’azione del tempo tende a trasformare, spontaneamente, l’ordine in disordine. In un palazzo ornato di splendidi mosaici, le tessere tenderanno a staccarsi, a cadere, a mescolarsi. Dopo millenni, di quel palazzo resteranno pietre disordinatamente sparse, e tessere mescolate e disperse; non accadrà mai che viceversa un mucchio disordinato di pietre, e le tessere disseminate qua e là, spontaneamente si organizzino e si ordinino, cosicché per il causale concorrere di eventi naturali in quel luogo sorga nel tempo, da solo, un palazzo istoriato. Per la materia organica, l’ordine nello spazio e nel tempo (l’architettura delle cellule, e il suo ordinato evolvere) significa vita; il disordine è morte. E dunque, se è il disordine ciò verso cui la natura tende, la vita è una specie di miracolo; e come tale – con il miracolo della creazione – le civiltà umane hanno fin dalla notte dei tempi cercato di spiegarne l’origine.
Qualche barlume scientifico a proposito del miracolo della vita sulla Terra ci viene dalle teorie (teorie recenti, e a tutt’oggi appena abbozzate) proposte da Ilya Prigogine.
Consideriamo un fiume, che fruisce dalla varietà delle cime alpine verso l’uniformità delle valli, per poi arrivare al mare dove tutto si mescola e si confonde: il fiume scorre mosso dalla naturale tendenza a consumare l’ordine della sua iniziale energia nel disordine dell’uniformità finale. Eppure, proprio là dove il suo flusso verso valle è più rapido – proprio là dove il suo ordine complessivo si consuma più rapidamente, là dove c’è una rapida o una cascata – si osserva la tendenza dell’acqua a organizzarsi localmente in vortici, strutture dotate di una loro sia pur rozza organizzazione spaziale, e una ordinata evoluzione nel tempo. A partire da questa semplice osservazione, la teoria di Prigogine prevede e spiega, seppure solo nei casi più semplici, come sia proprio il fluire veloce del sistema, nel suo complesso, verso il disordine, a produrre localmente (sia pure instabile, e precario nel tempo) il miracolo dell’ordine, il miracolo della vita. Un processo lento e faticoso che ha richiesto e richiede, per compiersi, due ingredienti di cui la natura dispone in abbondanza: tempo e pazienza.
L’uomo della presuntuosa civiltà moderna, per costruire quell’ordine sui cui si basa la vita di ogni comunità, ha deciso di non affidarsi più, come in antico, a umili e coscienti atti quotidiani di intelligenza, così come potrebbe impiegando quella dote – l’intelligenza appunto – che la natura ha costruito in decine di millenni, e gli ha consegnato. Ha deciso, invece, di imitare la natura primordiale, affidando la vita della società a un fenomeno di organizzazione spontanea che – analogamente ai vortici delle rapide di un fiume – pare generarsi quando è sufficientemente allegro il flusso dei consumi (un flusso che dissipa, complessivamente, risorse, energia ed ordine). E’ un approccio possibile, pur di adeguarsi alla pazienza della natura, ed accettare dunque che i tempi storici – i tempi di evoluzione della civiltà – si adeguino ai tempi naturali. Ma è questa pazienza, appunto, che oggi ci manca. Noi pretendiamo di accelerare, vieppiù, il flusso dei tempi storici: il tempo delle conquiste e della conoscenza, delle comodità, dei consumi. Per alimentare questi flussi, costringiamo la natura a una sfida impossibile; le chiediamo di imparare a rigenerare risorse – per alimentare quel fiume alle sorgenti – ad un ritmo che non è quello suo, non è quello paziente dei tempi biologici; è quello isterico della civiltà degli idoli materiali. Ma non sarà la natura a perdere; sarà lei, la natura, a riportarci al rispetto delle sue leggi e dei suoi ritmi. Cerchiamo di essere abbastanza saggi perché il nostro ritorno a quelle leggi sia volontario e costruttivo, e non traumatico e catastrofico
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