
già pubblicato su IL MATTINO, Futuro presente. Venerdì 25 giugno 1993
Domenica passata è stata una splendida giornata di sole; ne ho approfittato per andare a Procida, dove tengo il mio gozzo di legno, per farmi qualche ora di mare. Non c’è niente di meglio che andare in giro per il golfo in barca – in una barca piccola – per stimolare meditazioni a proposito della “civiltà compatibile”. Non v’è uno, fra i futurologi più avveduti (scienziati, ambientalisti, economisti, sociologi), che non concordi con l’esigenza che la civiltà tecnologica si dia un assetto diverso, che le consenta di svilupparsi in equilibrio con l’ambiente che la contiene: così da dar modo alla natura di rigenerare le risorse che via via consumiamo, e di assorbire e metabolizzare i rifiuti di ogni tipo che in essa riversiamo.
La costruzione di questa civiltà dell’equilibrio – detta appunto civiltà compatibile – è un obiettivo ambizioso e difficile, perché oggi, da tale equilibrio, siamo molto lontani; ma è un obiettivo necessario. Necessario non solo affinché sia data a tutti i popoli del mondo, la maggioranza dei quali muore oggi di fame, la possibilità di svilupparsi anch’essi; non solo se ci poniamo l’imperativo morale di consegnare un mondo ancora vivibile alle generazioni che verranno; ma anche se semplicemente vogliamo che solo per noi, cittadini della parte più fortunata dell’umanità in un’era di abbondanza, la ricchezza si traduca in effettiva qualità della vita. Su questo obiettivo dell’equilibrio, anche fra noi gente comune non v’è alcuno che in teoria non concordi; ma girare in barca nel mare prossimo a una grande metropoli, è istruttivo perché ci mostra quanto invece, nella pratica, siamo poco rispettosi di chi e di quanto ci circonda; e quanto siamo tolleranti e indulgenti nei riguardi delle violazioni più inutili e brutali del principio di compatibilità.
Mi è capitato, domenica, di fare la coda al distributore di gasolio. Davanti a me c’erano un paio di barche lunghe forse il doppio della mia, ma non enormi. Dopo aver aspettato una decina di minuti e più, mentre loro continuavano a ingurgitar gasolio, ho chiesto quanto occorresse loro per fare il pieno: 1.500 litri, quanto serve a un’utilitaria per viaggiare un anno intero! Non c’è male, come esempio di incompatibilità. Incompatibilità con un uso ragionevole delle risorse energetiche, che sono scarse e in via di esaurimento. Incompatibilità con un uso rispettoso dell’ambiente: quelle tonnellate di gasoli, bruciate dai motori, si trasformano in veleno per i nostri polmoni. Incompatibilità con il quieto vivere che ci sta intorno: quando si muovono, quelle barche seminano intorno a loro un mare in tempesta, e spesso si divertono se la tempesta travolge qualcuno piccolino. Incompatibilità con la possibilità, anche per loro stessi, di godersi il mare: dopo tutto, in una passeggiata per diporto è più importante andare, tranquillamente distesi al sole, piuttosto che arrivare in fretta. Tanto più che chi viaggia in una barca siffatta, guarda caso, quasi certamente avrà con sé, anche di domenica, il suo telefono cellulare: un altro simbolo che è necessario come il pane a chi, pur di apparire, è disposto a sacrificare buona parte del suo benessere.
Ecco, se alla generale compatibilità vogliamo arrivare, prima o poi, da qui proprio dovremmo partire: da questi ed altri esempi che, producendo beneficio per pochi (o forse per nessuno!), si traducono in danno per tutti. Se non sapremo eliminare le più evidenti violazioni, come possiamo sperare di costruire quell’impegno collettivo necessario per realizzare una civiltà in equilibrio con la natura? Il punto è: come possiamo fare per cominciare. Non guasterebbe, non v’è dubbio, una paziente opera di informazione e di educazione. Una campagna di promozione dei valori dell’essere: esattamente l’opposto di quei valori – dell’apparire, dell’avere, del consumare – di cui i mass media ci imbottiscono il cervello. Ma certamente l’educazione non basta, quando il comportamento di una piccola minoranza – che sempre ci sarà – è sufficiente a produrre danni irreparabili per tutti. Serve un impegno e una mobilitazione della collettività, a difesa di ciò che altro non è che un diritto. Diritto a difendere ciò di cui pochi si appropriano, ma che appartiene a tutti, a chi c’è e a chi verrà: il mare, l’aria, la terra, il verde. E anche le memorie del passato, che sono un bene prezioso e inalienabile: anche quelle, se solo ci distraiamo un po’, ci verranno espropriate, e saranno cancellate.
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