Vi racconto una favola

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già pubblicato su IL MATTINO, Futuro e presente. Venerdì 3 settembre 1993

C’è una graziosa favola per bambini – credo si tratti di una storia di origine  russa – che quando lessi per la prima volta, mi lasciò assai stupito.

Un contadino tornava dal mercato di città, dove aveva comprato una vacca. Incontrò un tale che aveva un asino, e quell’asino al contadino piacque assai così come all’altro piacque la vacca, tanto che, dopo un breve scambio di battute, decisero di barattarli. Incontra poi un tale che ha una capra, e baratta l’asino con la capra; e così via, di baratto in baratto, si ritrova all’ultimo con un canarino. Penserete, a questo punto, che la favola vogla illustrare l’incapacità e la dabbenaggine: un esempio da evitare con cura. Ma non è così. Perché arrivato a casa, il contadino racconta alla moglie la trafila dei suoi poco vantaggiosi scambi; e lei – e qui la storia si fa sorprendente – non lo rimprovera affatto. Anzi gli dice: hai fatto proprio bene, se così ti faceva piacere.

A pensarci bene, tuttavia, questa storia non è affatto sorprendente; non di più, se vogliamo, di un’altra storia ormai classica che di questa è l’esatto simmetrico, quella sempre diversa e  sempre uguale, di Zio Paperone. Lui fa solo scambi assai vantaggiosi; difatti, di scambio in scambio e di commercio in commercio, diventa sempre più ricco, e non c’è ormai nessuno più ricco di lui. Tuttavia non è mai contento. La ricchezza accumulata non gli basta mai: da un lato pensa solo ad accumulare sempre di più; dall’altro, conserva intatto ciò che ha raccolto più che può, fino a far la vita di un mendicante.

È evidente che la favola russa ha molte morali. È più ricco chi molto possiede, ma la sua vita è fortemente condizionata dal denaro (dalla voglia perenne di volerne di più), o è più ricco colui che ha poco o nulla, ma fa la vita che più gli piace (la stessa vita che farebbe se possedesse molto di più)? La domanda retorica, come dire: chi assume a parametro i valori dell’essere, è assai più ricco di chi sceglie i valori dell’avere.
Ancora. In termini di beni materiali, più si dà e meno ci resta. Ma per i valori immateriali – gioia, solidarietà, comprensione – è vero il contrario, più si dà e più ci resta. Se si scambia un oggetto di valore con un altro di valore minore ma che ci piace di più, la gioia che ci viene dal piacere, nostro e altrui, può compensare – anzi di sicuro superare – quanto abbiamo perduto in termini materiali. Gioia, piacere, appagamento, infatti, non si comprano al supermercato. La civiltà dei consumi insegna: nonostante una immane massa di merci sia a nostra disposizione (merci senza dubbio utili al nostro benessere materiale) ciò non assicura che la nostra civiltà sia felice; anzi, molti si accapigliano ancora su cosa sia e cosa non sia, la felicità!

Direte voi, e dico anch’io: ma scegliere valori dell’essere, trascurando i valori dell’avere, richiede una saggezza così grande che pochi riescono a possedere, tanto che questa enunciazione ha poi nei fatti un peso complessivo assai modesto nei rapporti fra le persone.

Ma passiamo ora dal terreno morale – con regole e criteri sulle scelte di vita e di comportamento – a quello economico. Chi basa la propria economia sui valori di scambio, è costretto ad assumere il valore materiale, commerciale delle cose a parametro inderogabile delle proprie scelte e dei propri comportamenti; e quando non possiede nulla, si sente perso. Ma colui la cui economia è solidamente basata sulla capacità di produrre egli stesso ciò che gli serve – un’economia basata sui valori d’uso – può essere tranquillo e sereno anche quando non possiede nulla. Può permettersi il lusso, se ne ha voglia, di donare tutto quello che ha. Può comportarsi come un re; può comportarsi, in fondo, come il contadino della favoletta.

Mi si chiederà, a questo punto: quale predica vuoi fare, quella fuori moda e nostalgica di un’economia basata sull’autarchia? Lungi da me. E tuttavia stiamo uscendo da un periodo in cui il nostro Paese, e il Sud in particolare, ha fatto e ha subito scelte di politica economica basate sullo scambio, basate sulla svendita delle proprie risorse, basate sull’assistenza (un eufemismo per elemosina).  Ricordare a tutti noi che, per superare quella triste fase, è necessario riappropriarsi della capacità di produrre – e tanto meglio quanto più produrremo beni duraturi, e quanto meno beni di consumo – è quello che volevo fare raccontando la favoletta del contadino; che è poi soprattutto la favoletta della sua solida e saggia moglie.

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