
LA QUALITA’ DELLA SPECIE (dicembre 1982)
Come razza siamo destinati ad una inesorabile decadenza. Non me lo fa pensare un istintivo pessimismo- attitudine, questa, lontana, ed anzi contraria, alla mia natura.
Traggo la mia convinzione da considerazioni, per così dire, scientifiche.
Lo strumento principale dello sviluppo di una razza è la selezione naturale: quel meccanismo attraverso il quale gli individui più deboli soccombono nella lotta che la specie combatte contro la specie antagonista e le avversità naturali, lasciando così agli individui più forti, usciti vittoriosi dal campo, il dovere e il diritto alla riproduzione della razza.
Negli ultimi due secoli gli uomini – coccolati dalle tecnologie da essi stessi sviluppate, protetti nella salute da ogni sorta di farmaci, allevati nella bambagia delle incubatrici – non hanno più avuto difficoltà con cui scontrarsi. Anche i più deboli, gli incapaci, gli idioti, sopravvivono crescono e si moltiplicano; ed inquinano così irreversibilmente la forza della razza.
Le stesse guerre, che un tempo selezionavano i più forti, negli ultimi decenni sono diventate uno strumento di casuale decimazione: non colpiscono il debole e lo sprovveduto, ma la moltitudine sfortunata che cade sotto il tiro della pistola della sua roulette russa.
Negli ultimi tempi l’unico banco di prova delle capacità essenziali, l’unico strumento della selezione naturale, l’unico gioco della vita che provoca la morte all’incapace, era il traffico delle autostrade.
Un errore, e via! Largo ai più forti, ai più attenti, ai più pronti, ai più intelligenti.
E’ stato questo il campo di battaglia che ha rallentato il processo di decadimento della specie.
Ma oggi, gli strumenti automatici di sicurezza vanno inesorabilmente diffondendosi anche all’organizzazione del traffico privato. Il sincronismo dei semafori, gli svincoli a quadrifoglio, guard-rail e protezioni, paraurti rientranti, volanti flessibili, cinture di sicurezza: anche un idiota può sopravvivere al filtro del traffico, senza un rischio, senza che una sola probabilità sia lasciata alla discriminazione dei meriti.
Un amico mio, cieco come una talpa, avendo perso gli occhiali, strumento indispensabile alla sua visone- altra riprova della sua inettitudine!- riusciva tuttavia ad attraversare la città senza problemi, avendo imparato a memoria i cronometrici sincronismi degli strumenti di regolazione del traffico.
Uno, due, tre…., dieci: è certamente scattato il verde, vai tranquillo, anche se non riesci a vederlo.
L’automobile è diventata una sicurezza; un caldo nido in cui cresce la pancia, in cui le gambe si atrofizzano, in cui il fisico decade senza che d’altra parte l’ingegno si aguzzi.
Ma a dispetto dell’Ecclesiaste- nihil sub sole novi, niente di nuovo sotto il sole- negli ultimi giorni qualcosa di nuovo sta succedendo.
Nel grande crocevia sottostante il mio ufficio, sento di tempo in tempo stridere i freni; sento il fragore di lamiere sconquassate, sento le sirene di autoambulanze, di carri attrezzi, di autoradio di polizia.
Affacciandomi alla grande parete vetrata vedo feriti sanguinanti, vedo il bianco lenzuolo che ricopre i cadaveri.
Quando all’improvviso sul semaforo ai quattro angoli del crocevia appare simultaneamente il verde, solo i più pronti, i più attenti, i più svegli frenano curvano ed evitano il disastro.
Gli imbecilli, quelli che dormono seduti al riparo degli automatismi, cedono il campo all’imprevisto, rinunciano loro malgrado alla vita, lasciano spazio ai più forti.
Ho sconvolto gli automatismi dei semafori della città. Non più di questo, come modesto assessore al traffico di una sia pur grande metropoli, potevo fare per contribuire alla salvaguardia della nostra razza pregiata.
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