Come sono diventato napoletano

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Quando il vecchio prof. Antonio Carrelli andò in pensione, nel 1971, l’Università di Napoli bandì un concorso di professore ordinario di Fisica Sperimentale, e io decisi di partecipare. La commissione era presieduta dal decano dei fisici napoletani Ettore Pancini, uomo di grande carisma e fisico illustre. Nel novembre dello stesso anno, Pancini mi chiese di incontrarci, e ci demmo appuntamento alla stazione di Roma Termini, lui venendo da Napoli e io dai Laboratori Nazionali di Frascati. Mi disse in sostanza che il concorso era in via di conclusione, e io ero in condizioni di vincerlo; subordinatamente, tuttavia, alla mia risposta alla seguente domanda: -Te la senti di darmi la tua parola d’onore che i tuoi week end, nei prossimi cinque anni, li passerai a Napoli?-
Argomentai infatti che i frutti del lavoro di un uomo – e segnatamente di un intellettuale – maturano nel luogo dove quell’uomo vive con la sua famiglia, e non nel luogo dove egli si reca per lavorare. Del tutto naturale dunque che un ricercatore come me nel campo delle particelle elementari consideri il sistema mondiale dei grandi laboratori come il luogo in cui programmare il lavoro; purché sia Napoli la casa sua e della sua famiglia.
Io non conoscevo Napoli, ma ne ero comunque attratto; e così presi l’impegno che Pancini mi chiedeva. Un impegno di cui ebbi modo di pentirmi a più riprese negli anni seguenti, specie quando ebbi offerte da parte di alcuni prestigiosissimi laboratori stranieri, come ad esempio lo SLAC di Stanford.
Ma quando, dopo cinque anni, mi ritrovai libero da impegni, ero ormai diventato, nel bene e nel male, napoletano.

1 Comment
  • Roberto Ventrella
    aprile 6, 2016

    È una bella storia che fa onore a Napoli e ai napoletani…

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